Non piangete. Compianti scultorei di terra bresciana.

Dal buio della morte alla luce della Resurrezione

“Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me” (Lc 23,28): sono le parole che Gesù rivolge ad un gruppo di donne lungo la via del Calvario. E’ con questo monito che si apre il percorso fotografico realizzato da Nicola Zaccaria all’interno di una profonda riflessione sul mistero pasquale.

Il lavoro è incentrato su dieci compianti scultorei presenti sul territorio bresciano, risalenti al periodo che si estende dalla fine del XV al XVIII secolo e che rappresentano importanti e pregevoli episodi artistici nel panorama dell’antica devozione popolare: le statue, a grandezza naturale, plasmate in terracotta o scolpite in legno, ripropongono la tradizionale scena delle lamentazioni su Cristo deposto, a conclusione della Via della Croce. Nella visione creativa del fotografo non compare alcun intento documentativo: si tratta invece di un originale percorso interpretativo attraverso l’opera d’arte, che intende mettere in luce il senso salvifico della Croce.

In quest’ottica l’artista attua una coraggiosa operazione di identificazione con la figura di Cristo ponendosi nella sua prospettiva e adottando il suo particolare punto di vista: l’obiettivo restituisce così lo sguardo di Gesù, uomo-Dio, sul mondo. Dal buio del pianto e delle tenebre appare un’umanità smarrita e perduta poiché ha visto quel corpo calato dalla croce, inerte, destinato a tornare materialmente alla terra. Tutto è concluso. Questo è il pensiero disperato di chi gli è stato accanto fino alla fine e ora si sente abbandonato. Non è una scelta casuale quella di effettuare le riprese fotografiche dal basso: è infatti la prospettiva di Colui che «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8); Dio, incarnandosi in Gesù Cristo, raggiunge l’uomo nel punto più incomprensibile ed infimo: la morte. Ma, nel momento in cui il corpo del Figlio tocca la pietra tombale, ecco che si genera un movimento nuovo, inverso, dal basso verso l’alto: è proprio nel totale abbassamento di Gesù che traspare la gloria altissima di Dio; il sepolcro si spalanca verso il cielo, è l’alba della Resurrezione.

Gesù ha costantemente lo sguardo rivolto all’uomo e ne accarezza il volto bagnato di lacrime: di questo pianto, scaturito dal dolore del cuore e dalla fragilità del dubbio, né si meraviglia né si scandalizza; comprende, invece, questa lentezza nel credere e invita col suo monito a non guardare in basso, verso la terra. Tutto «è compiuto» (Gv 19,30).

La macchina fotografica diviene allora lo strumento privilegiato per dare voce a questo messaggio di speranza rivolto agli uomini di tutti i tempi: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Ai discepoli timorosi, alle donne spaventate di duemila anni fa, come all’umanità di oggi, segnata dalle medesime sofferenze, a questa coralità supplicante, Dio non fa mancare la sua risposta. E’ il nuovo orizzonte di Vita della Resurrezione.

Nicola Zaccaria suggella il fulcro della fede cristiana attraverso un interessante iter visivo che diviene preziosa occasione di meditazione.

Paola Mutti

 

Dentro le immagini

Considero il percorso a tema realizzato da Nicola Zaccaria un’opera animata da un’idea artistica di notevole spessore per la progettualità e per l’intensa riflessione maturate nel tempo attraverso il linguaggio fotografico.

Fondamento del lavoro è una scelta iconica fortemente connotata dapprima nella fase di ripresa e successivamente in una coerente e accurata postproduzione.

Analizzando i lavori fotografici di Zaccaria di questi ultimi anni, ben risalta la sua impronta stilistica che sottoscrive uno scatto costantemente oscillante tra esigenza di comunicazione visiva e creatività espressiva. Lo sfondo nero diviene testo e non più soltanto pre-testo della sua scrittura fotografica poiché costituisce la necessaria cornice simbolica alle scene rappresentate; ne diviene alla fine con-testo intriso di significato a servizio del messaggio sotteso, richiamando efficacemente la paura dell’abbandono, il buio del sepolcro, l’abisso della morte. La scelta monocromatica, nello specifico, la cromia seppiata, è altro elemento tipico della fotografia dell’artista che, rinunciando al colore, intende giungere così all’essenza dell’immagine: il colore infatti enfatizza, spesso distrae dal vero significato, contribuisce a documentare una situazione oggettiva e non ad esprimere uno stato emotivo. Non da ultimo, la luce. Straordinarie ed efficaci epifanie vengono attuate nello spazio fotografico: la luce sempre è maestra nell’interpretare il dato reale e in queste opere è ingrediente fondamentale per creare tridimensionalità, dinamismo compositivo e svelare il profondo dell’anima.

Desidero soffermarmi su un altro aspetto peculiare dell’opera: la prospettiva adottata nella ripresa fotografica. I dieci gruppi scultorei vengono fotografati, infatti, non secondo un classico punto di vista esterno, bensì interno alla scena rappresentata. Ponendosi fisicamente accanto al corpo di Cristo, in condizioni spesso disagiate per ristrettezza di spazi e nella difficoltà generale dovuta alla scarsità di appoggi, la mano libera del fotografo ha cercato di immortalare i volti sofferenti e i corpi concitati delle figure disposte in semicerchio attorno al defunto che quindi, pur essendo il fulcro dei Compianti, nelle immagini dell’autore non compare mai, se non parzialmente in qualche scatto. Protagonista assoluto della concezione iconica dell’opera è proprio questo punto di vista così ardito e straordinario che crea una dialettica visiva del tutto originale. Gli esiti compositivi scaturiti, necessariamente legati a questa prospettiva, risultano incentrati su un forte dinamismo spaziale, rafforzato da visioni angolate, talvolta anticlassiche e da un audace gioco di vuoti e pieni.

Riconosco in queste immagini un elevato potenziale espressivo e ritengo che l’artista con il suo lavoro sia riuscito efficacemente a sprigionare un’ampia visione degli universi interiori e dare corpo al suo pensiero che ha costituito la genesi dell’opera.

Piero BeghiBFI
Presidente Circolo Fotografico Lambda Ghedi – BFI

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Mostre

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